Onorevoli Colleghi! - Gli episodi sempre più frequenti, che ci pervengono dalle cronache giudiziarie, dimostrano ancora una volta che il diritto all'autodeterminazione femminile in campo sessuale, che dovrebbe rappresentare, per le donne italiane del nuovo millennio, una conquista ormai consolidata, è a tutt'oggi una aspirazione spesso tradita.
Il fatto particolare, che ha dato origine alla presente proposta di legge, è il seguente: la violenza sessuale, perpetrata da un giovane ai danni della propria compagna, in avanzato stato di gravidanza, ha dato luogo ad una imputazione per violenza sessuale.
La Suprema Corte, pronunciatasi sul caso, ha stabilito una massima che ha scatenato una valanga di polemiche: la violenza sessuale, perpetrata ai danni di una donna incinta, non dà luogo all'applicazione di alcuna aggravante.
Ciò accade a causa della formulazione dell'articolo 609-bis del codice penale, nel testo novellato dalla legge 15 febbraio 1996, n. 66, che recita testualmente: «Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; (...)».
Dalla formulazione dell'articolo citato si evince chiaramente che l'abuso delle condizioni di inferiorità integra una fattispecie